"O si è un'opera d'arte o la si indossa".
Ma ora, anche se la moda vuole palesare il contrario, sono quasi scomparsi
i tableaux vivants di Oscar Wilde, simili a quegli individui follemente
acconciati che concepivano la loro vita come un'opera d'arte: Brummel,
Baudelaire, De Musset, Gautier, D'Aurevilly, Chateubriand, Delacroix.
In "vita di Dandy" (Stampa Alternativa- FIRENZE) Tommaso Ricciardi racconta
l'esistenza delle opere di questi arbiter elegantiae che dalla fine del
'700 ai primi del '900 hanno saputo opporre con l'ironia alla volgarità
una solitaria eleganza non solo estetica, ma profondamente morale.
"Se per i registri dell'università io sono uno S.nob (sine nobilitate)
non lo sono per me stesso. io sono un Dandy". Dichiarò lo studente
borghese George Brummel, delineando con questo termine onomatopeico l'antisnob
per eccellenza.
Distaccato dal potere, dal profitto, dal successo, niente conta per
il Dandy più della libertà, della nobiltà d'animo,
della possibilità di esprimersi attraverso l'arte delle proprie
opere e lo charme personale, perché l'apparenza è la sostanza
e "per essere eleganti davvero non bisogna essere notati."
Il Dandy crea la Moda, lo snob la segue e, persuaso che affrancandolo
dalle classi inferiori lo conduca al successo, non distingue l'abito raffinato
da quello ridicolo. Una certa Moda Maschile, per contrastare quest'era
tecnologica che avanza distruggendo i canoni estetici, ha creduto di rivestire
l'uomo del nuovo secolo da Dandy restituendogli valore, voluttà,
ironia.
Quasi a sublimare la piacevolezza del vivere, gli ha infilato la pelliccia,
ha posato sete impalpabili sulle sue spalle e cinture gioiello intorno
ai fianchi, perché la vita non è a senso unico e l'uomo deve
imparare a non prenderla troppo sul serio.
Ma, come si vede tutti i giorni, il rischio è il Trash: un’accozzaglia
di volgarità che vorrebbe ostentare con allegria circense successo
e sicurezza sessuale mentre spesso denota solo mancanza di cultura e cattivo
gusto.
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"Il Dandismo ha sì riscoperto l'eterno femminino dell'uomo,
ma attraverso l'armonia perché la donna non può desiderare
che l'uomo in cui ritrovi la sua parte femminile." - Continua Ricciardi
.
“Il Dandy, potrebbe ancora fare Sognare la donna dicendo l'incredibile
e facendo l'improbabile.
Lascia tutto sospeso in aria giocando con l'ironia, adora l'artificio
come il profumo, l'abito più meraviglioso, voluttuoso e inutile
che ci sia.
Parte dall'uguaglianza per raggiungere la diversità, rifugge
dai gusti più comuni e dal plauso della gente. Il suo problema è
aumentare a dismisura le distanze.
Aborrisce l'imitazione, l'unico modello è se stesso.
Non soffre mai la noia: se si mostrasse annoiato darebbe importanza
al fatto che gli procura Noia.
Lui è superiore essendo un capolavoro.
Lo sguardo è errante, non si sofferma su nessuno, perché
nulla lo può catturare. Dedica molto più tempo alla toilette,
ma poi se ne dimentica e scompare nel suo capolavoro.
Ma la gente oggigiorno è così superficiale da non comprendere
la filosofia del superficiale".
Tommaso Ricciardi termina il discorso sorseggiando un cocktail Azzurro,
davanti a me sembra parlare a se stesso mentre espone i suoi problemi,
ed un senso di velata tristezza appare nei suoi occhi che si impossessa
anche nei miei "Che cosa rimane del Dandismo, dei Sogni, allora?", me lo
chiedo senza esitare.
Il Dandy voleva stupire con la sua immagine e avere, come prescriveva
Stendhal, bei capelli e bella pelle: oggi lo vogliono un po’ tutti gli
uomini.
Il "culto dell'<IO>" è dunque l'ultimo regalo di Tommaso
Ricciardi con il suo libro, l'ultimo retaggio del Dandismo, perché
"il vivere davanti ad uno specchio non è più pratica d'Elite",
come sosteneva Baudelaire e la naturalezza, grazie alla chirurgia estetica,
non è più così difficile da mantenere.
Giorgio Pulitzer
Pathos News - Dai Fatti alle Parole
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