Sole Nero: Fratelli in armi

di Stefano Masi e Carlo Fedele

Si ringrazia per la partecipazione Misha ed il Capitano Stefe Heik.


 

Ancora ricordo quella notte, intorno nel buio illuminato dai famelici fuochi della battaglia si sentiva solo il terribile canto delle armi accompagnato dalle strazianti grida di morti e feriti.

Avanzavo silenzioso e letale tentando di ricongiungermi con Horus e i miei compagni, molti nemici erano già caduti per mano mia e molti ne sarebbero ancora caduti prima che il sole tornasse ad illuminare quelle antiche terre.

Tante battaglie avevo già combattuto e tante ne avrei ancora affrontate eppure quella notte il dio della guerra chiunque esso sia mi fece un dono, un dono amaro. Mi sembra di nuovo di essere lì, l'acre odore della polvere da sparo mista a quello dolciastro del sangue, le grida e le esplosioni, il fumo e i lampi dei traccianti.

Improvvisamente sono di nuovo lì...

 

... Mi sento brillare, la forza del Pathos mi accompagna, posso quasi sentire lo sguardo di catastrofe dietro di me, che mi guida, che mi fa vedere il nemico tramite i suoi occhi, sono un guerriero, solo contro tanti, ma contro di me sono loro ad essere soli.

Il mio acciaio penetra le loro carni facendo uscire la rossa vita di cui credevano di essere pieni e lentamente il mio Desiderio di Morte si riaffaccia.

Questa volta non ci sono le mie sorelle a neutralizzarlo, questa volta non voglio negarlo, nessuna emozione deve essere negata, non adesso.

Inizio a cantare, un antico canto celtico, il canto del rituale del fuoco, del rituale del guerriero che dal fuoco prende forza. E più canto e più l'aria intorno si raffredda, l'inverno sembra tornato per prendersi il suo tributo, un tributo di vite.

Il fuoco nei miei pensieri, il ghiaccio nel sangue, in un unico abbraccio, dentro l'acciaio dei miei doni per loro, per prendere il loro dono per me, l'ultimo loro dono.

Ancora due soldati solitari cadono sotto la mia fredda ira sanguinaria, poi ne intravedo un'altro attraverso il fumo che mi scarica addosso l'intero caricatore del suo Mauser, e poi resta lì ad aspettarmi immobile come se non mi temesse come se fosse venuto qui solo per me. Gli arrivo addosso schivando con facilità i suoi colpi, ma improvvisamente da un cespuglio laterale vengono esplosi sei colpi di P-38 di cui uno mi ferisce ad una gamba.

Mi giro verso il cespuglio come disturbato da questa interruzione e scarico il caricatore della mia mitraglietta sul soldato nascosto. Poi mi giro verso il mio precedente bersaglio e sorrido compiaciuto vedendo che non è scappato, con esaltazione lo vedo estrarre il suo lungo pugnale da combattimento ed avvicinarsi con fare bellicoso verso di me.

 

- Fammi vedere come combatti contro un soldato del Reich..., vieni e ti donerò una morte gloriosa..., così che tu possa ascendere al Valhalla...- dice in un buon inglese.

Sorrido ancora, getto a terra la mitraglietta ormai scarica, estraggo il pugnale, mi metto in posizione di combattimento, i miei occhi sono quelli di un predatore. Tutti i miei sensi sono al massimo, la calma e l'eccitazione si fondono nell'estasi del combattimento imminente :- Bien..., vediamo cosa puoi fare contro questo Legionnaire..., e quando i tuoi occhi saranno bevuti dai corvi potrai portare i miei omaggi ad Odino...-

L'uomo sorride compiaciuto notando il mio sguardo predatorio.

- Bene Legionario divertiamoci..., il sommo Odino apprezza i coraggiosi...- mi dice di rimando.

Poi si piega flettendo le ginocchia e stringendo il pugnale nella mano destra con la lama rivolta verso il basso mentre tenendo la mano sinistra aperta e muovendola in maniera incredibilmente armoniosa, inizia ad  avvicinarsi.

Iniziamo a muoverci in tondo, lui sempre nella stessa posizione, io con il pugnale tenuto al contrario con la lama verso l'avambraccio, entrambi concentrati sui movimenti dell'altro, nulla più esiste intorno a noi, non più spari, non più esplosioni, solo noi due in un silenzio irreale. Continuiamo a fissarci nella nostra armonica danza e ad un tratto ci vediamo, ognuno riesce a specchiarsi negli occhi dell'altro, solo per vederci se stesso e capiamo, siamo simili lui ed io, lo stesso passato, lo stesso vivere la morte, lo stesso onore.

Capiamo in un istante che chi vincerà non sarà più lo stesso, perché sarà comunque un po’ morto anche lui, ma non esitiamo, non è nel nostro essere farlo, questo è il combattimento che entrambi, senza saperlo, aspettavamo da anni e quel momento è ORA.

Scattiamo, lui con più velocità io con maggior forza, le due lame tracciano disegni di morte nell'aria cercando carne ma trovando il vuoto, siamo esperti, determinati, mortali. La gamba ferita per un'attimo mi rallenta e sento il filo della sua lama che passa la mimetica e segna il mio torace, lui chiama il primo sangue e si ritrae un'attimo.

Guardo la ferita, leggera per fortuna, sorrido, alzo lo sguardo e vedo lo stesso sorriso, torno in posizione come lui, mentre mi muovo dalla mia gola scaturisce un canto. Un vecchio canto di guerra, fatto di eroi, di morte ed onore, di valorosi Cosacchi che sanno che le gocce di brina per loro sono le lacrime dello Zar, e sento un'altra voce, la stessa musica, parole di un'altra lingua, ma
uguali nel significato.

E continuiamo a danzare.

Le finte e gli affondi, il corpo a corpo, il suo cercare la mia parte debole, il mio costante accorciare le distanze.

Quanto tempo passa ?.., nessuno lo capisce, continuiamo a muoverci ed a cantare.

 

Nessun errore, da nessuna parte, nessun varco per l'altro, la stessa Morte, guardando il combattimento non riesce a scegliere.

Quando ad un tratto...

Un piede su di una radice, l'immediato compensare, ma è un secondo di troppo, una lama entra, trova il suo fine ultimo, chiama l'ultimo sangue, chiama la sua ultima vita.

Un profondo respiro, guardo il mio avversario, il mio amico, piego un ginocchio davanti a lui, gli chiudo gli occhi :- Addio fratello in armi, prepara lo spazio nel Valhalla, e tienimi un posto al tuo fianco, combatteremo di nuovo laggiù. -

In silenzio mi alzo recupero una mitraglietta e sparisco nella fredda notte di Morte di cui entrambi in realtà eravamo figli.

  


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