IN MORTE DI UNA NOTA
 

di Angelo Terragallo



Scrivo queste poche righe a testimonianza della disperazione di un uomo il cui ricordo è quanto rimane di un dio.
Terragallo, già Araldo di Gilgamesh, è sconvolto dalla scomparsa della Nota Pura di Desiderio.
Le parole dei fratelli, il lavoro, la vita stessa lo sfiorano appena, senza riuscire a catturare più il suo interesse, la sua passione.
E' a Roma con Horus e altri.
Sa che dovrebbe dare il meglio di se.
Sa che dovrebbe riuscire comunque a dare il meglio di se.
Ma c'è il buio, ormai, nel suo cuore.
L'ho visto coricarsi senza voglie, solo, e abbandonarsi al sonno come alla morte e ho udito il racconto del suo ultimo incubo.
 
La prima volta che avevo sognato della mia morte ero in volo verso l'Aconcagua, a bordo di uno sgangherato antidiluviano Boeing 80a.
Era stato semplice: la mia anima era uscita dal corpo e aveva guardato tranquilla il vecchio trimotore perdersi nel cielo, diventare un puntino remoto, confondersi con la memoria e svanire mentre le montagne si coloravano di rosso al tramonto.
Non mi era dispiaciuto, ma fu anche l'ultima delle mie morti piacevoli. Quando, in auto, attraversando ad un guado l'Orinoco, fummo travolti da una improvvisa ondata di piena, la pena che provai per il mio misterioso compagno di viaggio fu tale da farmi sperare di perder coscienza al più presto.
E quando la bomba al fosforo sfondò il soffitto di frasche della capanna e volteggiò come una foglia in autunno mentre si apriva, illuminandosi, e accendeva l'aria con una magia così potente che le ossa dello scheletro tentarono di fuggirne, sebbene già la vita, tornata verme, si fosse raggomitolata nel ventre umido della terra, riuscii ad immaginare le lacrime di una madre e la paura di un bambino e fu così triste che non mi riuscì più di sentire anche il mio di dolore.
Ma la morte di cui sognai l'altra notte, dopo la scomparsa della mia luce, non ha precedenti.
 
-Oh, merda !-            
riuscii a dire, mentre nelle orecchie cominciava a rimbombare, come l'eco di passi pesanti, il battito del mio cuore distorto dalla curva quantistica lungo la quale precipitava, atomo dopo atomo, risucchiato verso un improbabile "giù", la cui definizione, per un istante denso come il miele, mi parve insopportabilmente divertente.
Mi aggrappai al mio cuore e lo seguii.
Il senso di vuoto che avvolse la mia mente mi fece tremare di paura.
Il senso di freddo mi convinse quasi di essere morto.
Il senso di niente che mi riempì, sostituendo ogni mia molecola, mi ricordò gli angeli.
-E' andata! Sono morto…-
Mi lasciai cancellare, fluttuare nel limbo senza limiti del buio adimensionale di un nodo quantico, diluire lungo nuove coordinate dimensionali, finché mi parve di riacquistare peso e pelle e sentii una leggera carezza elettrica solleticarmi la nuca.
Avrei potuto restare così per sempre: ero assolutamente felice, ma fui curioso e aprii gli occhi.
Prima un dolore acuto, poi il lampo di luce, il conato di vomito e il più folle terrore che mi fosse mai capitato di provare: precipitavo.
Qualcosa, intorno a me, si muoveva freneticamente, fuggendo via a incredibile velocità, mentre il mio corpo riacquistava peso e sensi e lo sguardo cominciava a cercare un orizzonte ancora invisibile.
"Rilassati, è questione di un attimo!"
Forse me lo ero detto da solo, comunque sortì un qualche effetto.
La caduta rallentò un poco e la nausea passò.
Lontanissimo apparve qualcosa, come un ricordo.
<INSERIRE PIASTRA MAGNETICA>
Le lettere mi volarono incontro una alla volta e faticai a comprenderne il senso e ancor di più lo scopo.
"Ci penso io, non ti preoccupare."
"ah, bene," pensai "non sono solo in questa follia!"
"Mai fatto un viaggio del genere, vero?"
"mai, davvero!…"
"Le prime volte sono indimenticabili!"
"dove…?"
"Andiamo? Siamo? Né 'dove', né 'quando', amico mio: 'perché' è la
domanda."
"Perché?"
La risata rimbombò nella mia testa come un'esplosione e mi catapultò in un'altra storia.
Non fu la stessa cosa.
Il Vortice non era il Nulla di un nodo quantistico, non era l'oblio del non-esistente, il freddo della morte, la paura dell'assenza, lo spazio infinito del Multiverso.
Il Vortice era un budello doloroso, i graffi della memoria, i morsi dei rimpianti, una continua, infinita sequenza di scelte, l'inevitabile stillicidio del dubbio.
E pareva non finire mai.
La melma nera, la cui corrente rimontavo emergendone di tanto in tanto, era un brulichio di zampe e disperazione.
Il nemico non era più terribile di quanto non si apparisse a lui.
Travolto, spinto, rovesciato, soffocato, premuto, tirato, schiacciato, lanciato, frenato, graffiato.
Condivisi il terrore e l'ignoranza.
Adesso era tutto buio, senza alcun sopra o sotto, senza il minimo indizio di movimento, ma la sensazione di precipitare faceva attorcigliare le budella.
La nausea crebbe nuovamente, lo sforzo di mettere a fuoco qualcosa, qualsiasi cosa, faceva dolere gli occhi.
"Chiudili, gli occhi, tanto, quel che c'è da vedere, lo puoi vedere lo stesso!"
L'Orizzonte apparve improvvisamente sotto ai piedi e cominciò ad avvicinarsi ad una velocità davvero impressionante.
"E' il solito 'limite' irraggiungibile, vero?"
"Sì...?"
Improvvisamente cessò la nausea e ogni dolore, svanì la paura e ogni altra preoccupazione.
Scomparve il corpo e i suoi limiti, scomparve la fame e la curiosità, la voglia e la volontà.
Giunsi al bordo estremo dell'Orizzonte.
Silenzio, penombra, la fievole luminescenza di una linea lontana colorava appena il vuoto, pace.
Remota, come proveniente da un mondo lontanissimo, la lenta litania di un mantra.
La ruota che gira, la spirale infinita della preghiera, ogni sua parte uguale al tutto e il tutto non più grande della sua più piccola parte.
Un corno d'ottone generò una grave nota dando voce e vita al gelo.
Un anziano Lama si sedette proprio dove comincia la neve e guardò il sentiero.
La mano che faceva girare la ruota da tutta la vita si fermò e il respiro si fece affannoso.
"Non sono mai stato tanto in alto in vita mia" pensò interrompendo
l'infinita catena della preghiera.
"Non sono mai stato tanto in alto in vita mia", fu lo stesso pensiero che attraversò la mia mente e, insieme, provammo tutti il medesimo senso di struggimento.
Il monaco frugò nella borsa che portava a tracolla e ne estrasse un paio di foglie di  un'erba tonificante.
"Quante volte è già accaduto tutto questo?"
"Sta accadendo."
"Quante volte sta accadendo?"
La ruota della preghiera cadde, il Lama scomparve, la nuova assenza si aggiunse a tutte quelle che l'avevano preceduta, un altro tassello dell'Immenso Nulla, un'altra goccia di entropia nell'oceano del Non-Esistente.
"E' accaduto anche a me?"
Pur non riuscendo a distinguere una qualsiasi forma di volontà,  né di individualità o di personalità, pur sentendomi sempre più scivolare nella pallida luce dell'Orizzonte, nella Pace dell'Uguaglianza, nella Gioia della Confluenza, avvertii, vicino a quello che un tempo remotissimo avrei detto essere il mio orecchio destro, il dispetto di una domanda insolente che pretendeva una risposta che pareva impossibile.
"E' accaduto anche a me?"
Lasciami andare insieme al Tutto!
Come posso ammettere quel che sta accadendo senza negare, così facendo, di farne parte?
"E' accaduto anche a me?"
Come posso essere La Più Piccola Parte Del Tutto e contenerlo al contempo, se ammetto di essere Io, rispondendomi, Un Tutto Più Piccolo della più piccola parte che lo compone?
"E' accaduto anche a me?"
Lascia…
Il velo dell'Orizzonte si squarciò con un muto fragore che fece tremare le pareti del Vortice.
La corrente nera era anche più impetuosa e il groviglio di zampe trasmetteva odio e determinazione.
"Dobbiamo essere quasi arrivati…"
 
Mi svegliai nel letto fradicio di sudore.
Avevo riconosciuto, nell'incubo, timori infantili e psicosi di guerra, ma c'era, fra le immagini, negli spazi bui e silenziosi dei ricordi, la traccia di un messaggio.
Di un estremo messaggio mai giunto.
Come se una disperata volontà, nell'ultimo infinitesimale istante di coscienza, avesse tentato di raggiungermi, di sfiorarmi la mente con un improbabile sinapsi che rendesse possibile  la continuità della sua esistenza attraverso me.
Respirai profondamente, mi alzai e mi infilai sotto la doccia.
Il cuore e il respiro erano tornati al loro ritmo normale e l'acqua tiepida calmò finalmente i nervi e rilassò i muscoli: solo la mascella restava serrata, imprigionata dal dubbio di aver smarrito definitivamente la via e lo scopo.
Le lacrime si confondevano colando sulle guance come l'acqua del fiume Seng quando entra nel Mekong: avevo già provato una simile disperazione.
Ed ero già fuggito.
Mi asciugai con calma.
Mi vestii.
Smontai e pulii la Beretta.
La rimontai.
La caricai.
Alla fine non trovai più nulla da fare e mi arresi: non potevo fuggire un'altra volta.
Non sapevo più dove andare.
Non c'era più nulla da perdere o da guadagnare.
Scrissi il mio epitaffio su un fazzoletto di carta:
 
< In un'ansa lontana,
un ramo morto del fiume,
giace
il mio cuore.
 
Che si potrà dire
di me
ormai?
L'acqua
nella quale ho nuotato
è già del mare,
i miei ricordi, tutti,
sono trascorsi
con i preziosissimi minuti…
 
resta
l'ultima danza del mio cuore
che,
nell'acqua di un'ansa lontana,
allegramente
affonda.
Perduto. >
 
Rimasi a guardare il muro per qualche istante, poi buttai via il fazzoletto e mi alzai.
"Bene!" lo dissi ad alta voce alla mia immagine riflessa nello specchio.
"Sarà la tua ultima avventura o l'inizio di una nuova vita: che rimanga fra di noi."
Mi scappò un sorriso.
Ah umani! Aggrappati così disperatamente alla vita da alimentare la speranza perfino quando ormai la Morte li ha raggiunti.
 
Sulla porta, proprio mentre la mano abbassava la maniglia per aprirla, fui fulminato da un pensiero.
Prima di conoscerla ero senza Pao-Lì e non ne soffrivo.
Prima di incontrarlo ero senza Gilgamesh e non lo sapevo.
Non mi restava che ritrovare Pao-Lì e riconoscere Desiderio di Desiderio e mai avventura mi parve più desiderabile e inevitabile.

 


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