Il Cavaliere del Ricordo III:
Post Tenebram, Spero Lucem

 

di Alexander Haag


Il Sole bruciava la mia pelle. Tutto intorno a me il deserto, duro e spietato. La sabbia alzata dal vento caldo del Sud mi feriva in continuazione il viso. Sentivo la pelle divenire cuoio, gli occhi due sottili fessure, i muscoli stremati dalla lunga marcia: tutto il mio corpo era ormai pronto a cedere. Ma non potevo fermarmi, non potevo. Avevo perso la Strada, da tempo, da troppo tempo. Dovevo trovarne una nuova, dovevo scegliere il mio Destino. Il desiderio di cambiare la mia vita mi aveva spinto lì, nel cuore dell’Egitto, per capire e scegliere.

Due giorni, due interi giorni di marcia. Non avevo trovato nulla. Ero perduto, come uomo, come alterazione, come anima. Nulla. Solo il nulla. Dietro di me. Davanti a me. E lì, nel cuore del deserto, solo e stanco, mi ero seduto. Due vecchi e contorti ceppi di legno erano divenuti una capanna, una volta che la coperta con la quale mi coprivo nella fredda notte era stata bloccata alla meno peggio sopra di loro. Il Sole non picchiava più tanto, si limitava ad osservarmi. Era sceso fino a terra pur di osservarmi: lì all’orizzonte, lo vedevo rosso e tremulo che scendeva, fissandomi con occhi invisibili. Il cielo divenne di mille colori, mentre Egli scompariva sotto la terra. L’ultimo raggio mi accarezzò il viso, mentre il verso di uccello mi fece guardare il fresco cielo notturno. E lì, nel cielo azzuro, illuminato dagli ultimi raggi del sole, vidi un falco che volava solitario. Poi le tenebre della notte calarono a farmi compagnia. Anzi no: vennero a darmi la caccia.

Il respiro era pesante... troppo pesante, segno che le forze stavano per cedere... non potevo più scappare, non potevo più nascondermi. Nel cuore di quella notte straniera stavo per trovare la morte. Esseri terribili fatti di tenebra mi inseguivano da ore: le gambe erano pensanti, la testa pulsava fino a voler scoppiare, le braccia erano incapaci di reggere per altro tempo la torcia. Sentivo i loro sibili nella notte, vedevo le loro sagome fuggenti che danzavano intorno a me, al limitare del cerchio di luce dorato che la torcia disegnava sulla sabbia. Li vedono: terribilmente contorti nelle loro forme inumane, con ali da pipistrello, viso da serpente, braccia, gambe e corpo vagamente umani. Ridevano di me e anelavano la mia distruzione... la distruzione... cos’è la morte se non un cambiamento, uno dei tanti che dobbiamo affrontare durante la vita. E allora, pensai, che venga pure la mia fine, la mia distruzione, il grande cambiamento, ma che venendo a me mi trovi a combattere e non a fuggire. Avanti guerriero, muori nelll’onore che solo la battaglia può concedere!
Lasciai cadere la torcia fra le mie gambe, pronto alle tenebre che mi bramavano, pronto alla morte, quasi eccitato dalla vicina lotta senza speranza. Agognavo il mio Signore Distruzione. Il desiderio di incontrarlo cresceva sempre più... la luce della torcia si spense lentamente... vennì avvolto dalle Tenebre...

Erano passati minuti, forse ore a giudicare del dolore ai muscoli contratti, che attendevano ormai da troppo tempo di scattare. Le Tenebre mi avevano avvolto: dolci e sensuali era scivolate intorno a me fino a circondarmi completamente, man mano che la torcia si spegneva, divorata dalla sabbia e dal vento freddo della notte. Attesi per istanti infiniti che qualcosa mi attaccasse, mi saltasse addosso da ogni direzione possibile, destra o sinistra, da sopra o anche da sotto... ma nulla accadde, nulla di tutto questo. Nell’oscurità più totale non v’era nulla: nessuno nemico, nessun attacco, nessun pericolo. Ero lì, semplicemente solo, circondato dal nero più assoluto, immerso in una specie di non esistenza: ma cosa era accaduto? A tastoni cercai la torcia: benché non  vedessi nulla, riuscii facilmente a trovarla per il calore che ancora emanava. La presi ed in quello stesso istante mi sembrò di sentire un sibilo che si avvicinava: mi tirai su ed estrassi lentamente, quasi tremante, l’accendino dalla tasca. Una strana sensazione si era impadronita di me: avevo l’impressione, anzi no, quasi la certezza che qualcosa di tremendo fosse nascosto nell’oscurità. Ma perché non mi aveva attaccato per tutto questo tempo? Una fiamma tremula illuminò l’aria: l’avvicinai alla torcia con lentezza, mentre sentivo crescere tutto intorno sibili, mentre con la coda dell’occhio percepivo movimenti che poco prima non c’erano. La torcia prese fuoco velocemente, spandendo la sua luce: mi girari diverse volte su me stesso, non solo perchè le ombre si erano ritirate lentamente come se fossero vive, ma perchè il deserto ora non c’era più. Mi trovavo invece in una stanza di pietra: delle scale dietro di me salivano verso l’alto e davanti a me... un movimento! Davanti a me scorsi un movimento, una figura che teneva una torcia si era girata verso di me... avanzai lentamente e lo stesso fece la figura che ancora non vedevo... pochi passi ed in quella stanza misteriosa scavata nella pietra vecchia di secoli mi trovai di fronte ad uno specchio, incastonato nella pietra. Mi scrutai nel riflesso: il mio viso scavato dalla stanchezza, la barba incolta di giorni e giorni, gli abiti sporchi e sudati e la pelle, ormai più simile al cuoio. Come ero giunti lì? Perché ero lì? Mi fissavo negli occhi pensoso, quando vidi nel riflesso che una figura scura era scesa giù dalle scale velocemente. Mi voltai: la spada sguainata in un istante, i muscoli che risposero pronti al richiamo del pericolo, ma nulla vidi in quella piccola stanza. Poi un sibilo dietro di me, quasi parole dette piano piano e trasportate da un vento inesistente: -Voltati!- mi pareva avesse detto quel sibilo. E così feci. Nello specchio non c’era più la mia immagine: una sagoma scura, con due occhi di fuoco ed una spada sguainata ne avevano preso il posto... la lotta che tanto avevo atteso era finalmente giunta. La figura fece un passo in avanti, uscendo dallo specchio...

Mi sveglio di soprassalto: sono nel mio letto, le coperte attaccate addosso, il sudore che continua a scendermi dalla fronte e dalla schiena. Non è possibile: sono giorni che faccio quello stesso incubo, lo stesso, identico, dannato incubo. Sembra vero, perdio se non mi sembra veramente di essere in quel deserto sconosciuto, per giorni e giorni a vagare, con poca acuqa e pochissimo cibo... Decido che il letto è troppo fradicio per continuare a starci dentro: mi alzo e mi dirigo verso la finestra. Aprendola una ventata fredda e piacevole mi circonda. Fuori in strada non c’è nessuno, assolutamente nessuno: dovranno essere più o meno le 2 e mezza di notte e nessuno si aggira per le stradine vecchie del mio quartiere, abitato com’è solo da vecchie signore e anziani pensionati. Poi ho una strana sensazione: mi sento vecchio di secoli, come se questo tempo non mi appartenesse più. Mi guardo intorno e pur non vedendo nulla di diverso, sento che il mondo intorno a me sta cambiando: i quadri sono più colorati, le pareti più bianche, l’ambiente meno scuro. Mi giro di nuovo a guardare fuori e stupito mi ritrovo a fissare un sole che lentamente sta sorgendo: nel volgere di pochi secondi la notte era passata ed era giunta l’alba a portare la luce. Cosa era accaduto? Cosa stava succedendo? D’istinto accendo il computer per collegarmi e chiedere a qualcuno di quella strana sensazione. Guardo l’orologio: sono le 3 di mattina. Mi blocco, immobile, incerto, confuso. Mi guardo intorno e vedo la stanza come era quando mi sono svegliato: avvolta nell’oscurità della notte. Torno alla finestra e mi affaccio come a cercare chissà cosa, visto che già so che fuori è ancora buio, come deve essere. Ad un tratto, lo squillo del telefono e tutto torna ad essere normale: nessun pensiero in testa, nessuna esitazione nel cuore. Rispondo, mentre osservo la notte fuori dal balcone.
- Carlo, ciao... sì... no, di certo... sicuramente... domani ci sarò... va bene... sono con voi, Horus... – e mentre parlo fuori i fari di una macchina che passa mi sembrano i riflessi di un sole che vuole sorgere. Riattacco il telefono e veloce preparo la borsa: qualche vestito scuro, un pugnale, la mia spada spagnola avvolta in un panno di lino grigio e qualche attrezzo. E poi sono ancora sul balcone: da alcune ore attendo l’alba ed essa puntualmente giunge, fra le sei e le sette. I tiepidi raggi di luce mi illuminano lentamente: mi volto, dando le spalle al sole e guardando dentro la mia camera. Le cose illuminate da quei raggi hanno un aspetto differente: la luce concede loro qualità che nella notte non sembrano esserci. Nella notte vedo un mondo senza speranza, ma durante il giorno, quando quella sfera benefica brilla nel cielo, la speranza mi accompagna e... che razza di pensieri faccio! Meglio bersi qualcosa: vado in cucina. Mentre la macchinetta è sul fuoco, mille pensieri invadono la mia mente... il fischio forte all’odore di caffè mi riporta alla realtà e mentre bevo dalla mia tazza preferita un ultimo pensiero strambo mi passa nella mente e, senza farci caso, lo recito, quasi fosse una preghiera, ad alta voce: “per fortuna che dopo l’oscurità arriva sempre la luce” sorrido, poggio la tazza ed esco.

PATHOS © 2002
Associazione di Letteratura Interattiva