CRONACHE DAL PICCOLO NULLA
di
Eterodossi



Capitolo 12 - Storia di Alain


Sento molto freddo.

Ho le membra ghiacciate. Piombo gelido. Apro palpebre di piombo su un terreno di sabbia umidiccia, senza erba.

Mi giro supino, per respirare. Aria umida e fisso la notte coperta. Sono stanco. Nausea. Sono stato peggio. Per aver appena ricevuto un colpo di pistola in faccia, va benone.

Inspiro, giro la testa. Ora mi alzo. Ho già fatto questo pensiero. Quando mi spararono gli albanesi. “Ora mi alzo,” invece ero morto. Ora mi alzo. Giro la testa piano, impasto sassolini, capelli e fango con l’occipitale. Intorno non si vede niente. Una distesa di terreno brullo e fosco, un diffuso lucore da tutte le parti. Mi appoggio sui gomiti. Devo essere tipo in una cava, mi hanno buttato qui. Ora mi alzo. Sono solo, mi sono salvato.

"Non sei solo e non ti sei salvato.”  

Mi alzo con una caricatura di scatto di reni.

“MOMM!” Dalla voce mi viene bene fuori tutto, frustrazione, indignazione. Bene. “Vieni fuori, brutto figlio di puttana!”

“Non sono brutto. Da questa parte.”

Cammino con le gambe legate, sono a piedi nudi, cammino nella foschia e il renone mi si incolla alle dita. Vado verso la voce, anche se la zona è più buia. Dietro una piega del terreno qualcosa si muove. Striscia. La rabbia fa passare avanti la prudenza.

“Non avere paura, sono io,” dice.

“Io” un corno. Mi si gelerebbe il sangue se non avessi già un freddo del cazzo. Un cazzo di grosso alligatore striscia lento e goffo da dietro la piega.

“Ti dico di non aver paura, sono io, MOMM. Il tuo caro amico Marco Oreste Mario...”

Mi sono piegato sulle ginocchia alla posizione di combattimento. Ma la voce è sua, quel rettile è MOMM, questo è un incubo. E allora va bene. Ne ho fatti altri, le terre di sogno, lotta ai demoni in dimensioni allucinanti, tavoli operatori pieno di droga. No, il dialogo col coccodrillo non è il peggio.

“Ti sei fatto mangiare da quel coso per nasconderti o è un tuo riuscito cammuffamento alla Stanislao Mulinschi?”

“Sono io, il piccolo nulla ha le sue regole e io mi trovo più comodo in questa forma. Un omaggio all’idea di Sobek, il dio coccodrillo.”

“Giochi anche tu a fare il dio, mi deludi...”

“Tutta la vita è un gioco, però non ho mai desiderato diventare un penoso mezzo dio. Lo sai. Questa forma è strumentale a questa impresa. Ho cercato di salvarti la vita.”

“Come al solito i tuoi splendidi piani hanno un intoppo sul più bello: mi hai appena detto che sono morto.”

“Un colpo solo. Non hai sofferto.”

“E il bambino?”

“Salvo. Forse con un po’ di analisi junghiana diventerà una persona normale e dimenticherà il nonnino che voleva impadronirsi del suo corpo.”

“Perché non ci hai detto del bambino figlio della cara dottoressa Venturi?”

“L’ho scoperto tardi. Ho cercato di avvisarvi, ma le sorelline Vita e Morte insieme alla Venturi mi hanno messo la mordacchia. Si sono messe a marcarmi stretto con un macchinario metafisico espropriato al professore, da quaggiù non riuscivo a parlare con voi. Vi ho mandato degli indizi coi sogni, il biglietto del barbone...”

“Begli indizi, non abbiamo capito un accidente!”

“Il piccolo era un clone del prof e lo aveva fatto partorire alla figliastra.”

“Vecchio bastardo! Saltava di corpo in corpo! Per averne uno giusto se lo faceva fabbricare su misura dalla figliastra di turno. Lo curava, ne seguiva l’educazione fino al momento di sostituirgli l’anima e prendere il corpo... risultava sempre orfano. Figlio di sé stesso. Quel vecchiaccio avrebbe trovato interessante uno scambio di idee con lo scienziato che mi ha trapiantato il cervello!”

“Credo anch’io. Lo stregone non aveva fatto i conti con la figliastra...”

“Che quando ha capito che stava per ritrovarsi il patrigno nazista nel corpo del figlio si è messa in mezzo.

Tutto questo casino per salvare il figlio. Mamma Odio ha rischiato tutto per il figlio.

Per amore.”

“Sì, per amore. I nemici del prof avevano deciso di eliminarlo. E per mettere la parola fine al lunghissimo film del prof hanno contattato le due assassine bionde. Belle fiche.”

“E le due biondine hanno fatto patto con l’amica, Tiziana, offrendole la salvezza del figlietto in cambio della pelle del padre adottivo. Ma perché non lo hanno ammazzato subito?”

“Nessuno poteva torcere un capello al vecchio dopo averci scambiato anche una sola parola. E loro erano amiche di famiglia. Guarda che quelle due bamboline sono imparentate alla lontana con Distruzione di Psiche...”

“Demetra, sempre lei!”

“Dillo a me...”

“E tu ci hai messo in mezzo! Sei il solito infame!”

“Nel “ci” ci sono anch’io, non penserai che mi diverta a fare il lucertolone in questo posto. Tu eri morto, Lazar. Erebo era morto, o morta, a seconda della personalità scombinata che stava ai comandi nel suo cervello scombinato. Io ero nell’angolo, inseguito. L’apocalisse si avvicinava. Mi ero giocato tutte le mie carte; non potevo avvicinarmi non dico a Lucca, ma al continente europeo, per ovvi motivi. Ti avranno detto che ho mandato io le forze speciali ad attaccare i nostri cosiddetti “fratelli” a Meiningen. Mi sono rifugiato qui. Ti ricordi il mio ultimo messaggio in lista? Pensi che scherzassi?”

“No. Penso che ci prendevi in giro! Allora come adesso! Ho imparato a mie spese che sei un campioncino della menzogna. E della manipolazione. Dove mi hai portato? Che posto è questo? E che fine ha fatto il vecchio? Il bambino? Mia madre?”

“Tua madre?”

“La vecchia francese e Pina! Mi hai dato un’altra vita e l’ho persa di nuovo, mi hai fatto morire di nuovo, te ne rendi conto?”

“Ti ho dato qualche settimana di vita, un’altra possibilità. Non ho deciso io di farti morire.”

“Non rivedrò Carlotta! Stronzo, grandissimo stronzo!”

“Stai buono, non puoi guardare a ciò che non è e non può essere; limitiamoci, limitati a ciò che è ed è stato: io ti ho fatto conoscere Carlotta. Io ti ho dato un altro gettone per la vita, non è colpa mia mia tutta mia se è andata così.”

“Ma senti le stronzate! Invece di fare il coccodrillo dovevi incarnarti in un crotalo dalla doppia lingua biforcuta!”

“Ti ripeto che non c’entro con questo epilogo. Il tuo destino era nelle tue mani e se è finita così dipende tutto da te, Alain, Lazar, Alessio, come vuoi che ti chiami...”

“Sono Lazar, Lazar Jakovic, non sono Alessio Majere, e tu mi stai tra i piedi dai tempi della ALIVE, non dire che non c’entri nulla!”

“È stato il caso, il potente DESTINO, a fare in modo che io fossi nella clinica di Belgrado la notte in cui ti hanno mezzo trapiantato il cervello con quello sottratto a Alessio Majere, ne abbiamo già parlato....”

“Certo! È stato per caso che mi hai quasi fatto catturare a Milesava, cercato di affogare nell’Adriatico, mi hai consegnato al KGB a Mosca...”

“Ti ho anche già spiegato che c’erano dei motivi che giustificavano i miei progetti.”

“Chiamale “cospirazioni”, serpe!”

“Ho già detto tutto prima di Funchal. Sono venuto di persona a salvare te e tua sorella Neda...”

“Hai burattinato anche Neda! Non fare l’eroe con me, non muovi un dito se non hai almeno quadrupli fini e uno è sempre quello di gratificare il tuo ego di primadonna mafiosa!..”

“Sono un grande artista incompreso, come Nerone. Ma hai fatto tutto da te, bello, non mettermi in mezzo come il prezzemolo. Non ti avevo mandato io a combattere in Kosovo.”

“Anche di questo abbiamo già discusso, maledetto: era la mia patria. Non sono come te, rinnegato!”

“Inutile coprirmi di insulti. Guarda ai fatti: ti sei sempre cacciato nei guai da solo.”

“Adesso è colpa mia se mi trovo qui, magari...”

“Tu amavi il mondo, Lazar, ma volevi dimostrargli che eri forte, e il mondo ti ha abbattuto.”

“Piantala.”

“Guarda Erebo, cioè Vinicio. Lui odia il mondo, ma è attaccato alla vita. Pur di sopravvivere è stato capace di umiliarsi, di scappare. Si piega ma non si spezza. Tu non volevi piegarti e sei stato spezzato. Hai fatto la tua strada, a modo tuo. Lo rispetto, ma non dare la colpa al mondo, se si è dovuto dimostrare più duro di te.”

Io non ho parole, il coccodrillo si agita, sferza la coda e cerca di rampare sulla duna mentre la voce di MOMM continua:

“Non ti ha mandato Demetra a ammazzare croati e albanesi per le quattro C! Non ti ha mandato tua sorella a seguire la strada insensata e insanguinata dei Distruttori per amore di Demetra! A causa della tua stessa fedeltà alle loro cazzate sei passato tra le mani dei vivisettori a Mosca, io avevo un ottimo piano per liberarti! E per questa tua voglia di lotta dura–senza–paura l’Assenza ha catturato tua madre e tua sorella. Tua madre è morta prigioniera in Bulgaria per la tua sete delle dolci paroline di Demetra. Mi sono fatto un mazzo come un carretto per trovare la tua famiglia e tu, niente, sempre a fare il bullo, invece di farti aiutare da me hai voluto fare di testa tua, il gioco dell’eroe! Sei morto allora, come Lazar, e ti sei messo in condizione di combattere uno contro cinquanta anche ora,nella vita di Alain. Mi dispiace, Lazar. Non puoi dare la colpa al mondo se è più duro di tutti. Hai lasciato un segno. Sarai ricordato. Ora è finita.”

Dopo il gorgo, lascio scorrere la memoria. Il coccodrillo si è rizzato sulla coda e due zampe. Quanto è innaturale, così accetto la desolata realtà:

“Nessuno mi ricorderà. È finita. Ora che succede? Restiamo qui a discutere delle mie tre morti?”

“No. Non resterai qui. E non sei dimenticato. Il mondo ti ricorderà. Tua sorella non ti ha dimenticato. È salva, in mano agli uomini del Destino, che la proteggeranno e cercheranno di darle una vita normale, senza spasimanti nazisti e fratelli supereroici.”

“Tu hai mia sorella!”

“Non io: l’armonia di Destino. Con il loro aiuto agimmo a Funchal, ti diedi ai satanismi nazisti in cambio di Neda e poi ti liberammo subito. All’aeroporto di Parigi i nazisti intercettarono il mio agente, Jiri lo slovacco, e ci fu una sparatoria. Lui rimase ucciso, ma Virag e gli altri ebbero la meglio e portarono Neda in salvo. È sempre stata in salvo, da allora, anche se tu ti arrovellavi non sapendo dove fosse finita...”

“E poi dicono che non sei proprio stronzo del tutto! Almeno lei è fuori da questa pazzia.”

“Neda vivrà ricordandoti. Il mondo intero non potrà dimenticare Lazar Jakovic: hai una parte tra le forze che hanno fermato l’orologio del professor Orazio Olindo Olimpo Ognuno. Guarda lassù.”

“Cosa?”

“In cielo, quella striscia rossa.”

Sforzo gli occhi, il cielo è limpido ora, si vedono le stelle. Non sono stelle, sono punti rossi che si muovono. Ho un brivido. Centinaia di punti rossi si muovono a frotta verso l’orizzonte, da dietro dove si intravede una luce all’orizzonte, verso il buio dall’altro lato.

“Cosa?”

“Sono le anime, Lazar, le memorie di chi è morto volano verso il nulla: siamo fatti della stessa materia dei sogni. Guarda a quello che chiameremmo “nord”, a bassa quota.”

Uno lunga striscia, come la scia fiammeggiante di un aereo.

“Sono le memorie del professore. Dopo che gli avete fatto perdere il ragazzino gli uomini delle sorelle Vita e Morte lo hanno raggiunto e eliminato; era potente, ma senza il nuovo corpo DESTINO lo ha raggiunto. Ora la miriade delle sue memorie viaggia lentamente verso il nulla. Era un uomo importante, le sue memorie voleranno in lenta processione per molto tempo.”

“È questa la morte? Puntini rossi che volano? Scioglimi da questa pagliacciata, imbecille!”

“Mi dispiace, Lazar, ora tocca a te. Non c’è più sabbia a scorrere tra le tue dita...”

“Ma che cazzo vuoi, basta con le vaccate!”

Ora, in piedi sulla duna, c’è un uomo dalla testa di coccodrillo e un po’ di pancetta. È MOMM, non c’è dubbio.

“Questa conversazione è il mio saluto e la mia veglia per te, Lazar. Ti ho donato delle spiegazioni. L’idea di lasciarti volare verso il grande nulla senza parole, senza una scusa, mi è insopportabile. A dirti la verità credo che gli dei intrattengano ogni anima al momento di transitare nel piccolo nulla. Tra poco giungerà qui il ruhk, l’uccello psicopompo.”

“Già il nome serissimo è tutto un programma...”

“Rapirà la tua anima e la porterà lentamente verso il niente...”

“Basta!” urlo. È rabbia, non convinzione, è tutto troppo vero.

“Il tuo viaggio sia lieve, amico mio. Hai dato molto e sempre sinceramente. Sinceramente ho cercato di sviarti dalla tua lotta senza speranza e darti accesso alla vita. Di più non posso. Buon viaggio, lungo viaggio.”

La voce di Marco sembra allontanarsi, salire nel cielo e quando alzo lo sguardo, mi prende un mezzo colpo: c’è un grande uccello in cielo, un grande falco rosso, e lentissimo piega in questa direzione.

“Un momento! Dove credi di andare?!”

Al posto dell’uomo coccodrillo c’è solo una statua di uomo coccodrillo, di brutta pietra:

“Dove vai? Non ho finito! Che è successo a Vinicio, a Silvie? Rivedrò Carlotta? Come si esce da questo incubo? Pina, che ne è di Pina!?”

Mi aggrappo a queste domande. Se questa è la morte, voglio notizie della vita. E tu me le devi, stronzo.

La voce rimbomba da lontano, e sento che la distanza è ultima:

“Non rivedrai Carlotta. Sei morto in Svizzera. Non ti dimenticherà. Vinicio si è salvato.”

La voce corre, gracchiante, mezza urlata, portata via. Getto un occhio all’uccello. Rosso, fiammeggiate, lontano, enorme. Ce l’ha con me.

Non corro. Dove corro? Ascolto.

“Silvie è morta la sera in cui eravate in viaggio verso il collegio. Pina viveva solo per voi due.”

Silenzio. L’uccello s’inclina, silenzioso sventola deciso remiganti. Il mio uccello. Mi pianto a terra.

La voce mi giunge a pezzi dall’aria:

“… mico…”

Ho un groppo alla gola e sento di aver gonfiato il petto.

Stringo i pugni sporchi di sabbia.

Il rapace è gigantesco.

Istanti all’impatto.

 

 

PATHOS © 2002-2005
Associazione di Letteratura Interattiva