CRONACHE DAL PICCOLO NULLA
di
Eterodossi


Capitolo 4 - Quintilio, anzi: Alain bis

Ho letto un giornale, alcune pagine di uno dei romanzetti di Mann che ho preso a casa delle vecchie senza fare caso. Sono a quota: 'amari 8 e caffè 3' e già da tempo credo che ci siano modi peggiori di passarlo, in questa parte della vita assurda che mi è toccata in sorte, quando ecco che nella malfamata via trafficata vedo risalire sformata, confusa nel flusso di impiegati e sfaccendati, la sagoma dal collo fasciato che stavo aspettando - con un mastino (o un bastardo qualsiasi a forma di pelusc di carro armato) che mi aspettavo un po' meno.

Capisco che mi ha notato dal maldestro dietro front che tenta; butto l'ennesima sigaretta, lascio i soldi delle consumazioni sul tavolino. Conosco già quell'uomo e incontrarlo qui in via Volturno fa parte dei piani di quella Venturi...

- Speriamo che si sia ripulito un po' - penso mentre mi alzo e vado verso di lui, mentre il cane mi osserva interrogativo e l'ammasso di cappotto che puzza cerca di spostarlo invano manco fosse la spada nella roccia.

 

Dovendo rendere l'idea, pare una via di mezzo fra il tenente Colombo e Tom Waits impazzito del film su Dracula, passato dentro una discarica tipo bustina di tè nell'acqua.

Aumento il passo e ci sono. L'uomo bolso perde tempo a imprecare ad alta voce contro sé stesso, cane, mondo, Venturi o forse un'altra donna che non conosco (o forse sì? Poco importa, forse le sue lusinghe sono per la categoria in genere) finché - suo malgrado - si trova di fronte un uomo poco più che trentenne, capelli brizzolati radi e lunghi, alto circa un metro e settantacinque, arrivato con un'andatura leggermente zoppicante, ma proprio un'inezia rispetto all'incedere da gorilla dell'altro, a pendan con lo sculettare della sua bestia.

Da vicino, provo una sensazione strana, di avere davanti non un perfetto sconosciuto, ma qualcuno al quale sono legato affettivamente, in una sorta di solidarietà fraterna. Eppure non lo conosco: l’ho visto solo durante gli appostamenti e quella volta in metro.

Alzo la mano in un cenno di rapido saluto, sorrido mostrando i denti ingialliti da accanito fumatore, e dico:

- Salve, amico. Io sono Alain, Alain Meltemi. Cvedo che il nostvo incontvo sia previsto dal copione. Come te la passi?-

Lui abbassa lo sguardo e fa finta di nulla, pare un cane che sa di dover essere bastonato. Invece ghigna:

- Mi sono rotto i coglioni dei piani di tutti. Corri Ker!-

Invece il cane sta fermo e guarda Alain. Se non mi amasse lo avrebbe già sbranato. Per il principio del "tuo amico è mio amico" non gli abbaia nemmeno come non abbaia a me. La bestia molto prima di me ha la “sensazione empathica” cioè l'idea immotivata di avere davanti qualcuno con cui ho un qualche tipo di legame di solidarietà.

Questa beneamata formula magica tirata in ballo così tante volte nella vita passata dalla voce nella testa di Vinicio che nemmeno la brutta copia del telefilm di Highlander, la provano in sequenza la voce di qualcun@ nella testa di Vinicio (appunto) & il suo Cane. Sarà che da buon comunista non guardava la merda in tv, ma una palla di pelo e denti e l'amic@ immaginari@ non sono delle figure più carismatiche del terrore di un Guile che mi apre il cranio tipo uovo alla coque, si scucchiaia la pappa che c'ho in testa e fa squagliare il guscio che resta tipo pubblicità dell'anticalcare.

Ci serve un posto tranquillo per continuare la nostra conversazione, il cinema porno lì a due passi fa proprio al caso nostro: cosa c’è di meglio che stare al caldo a parlare, lontani da occhi indiscreti, guardando fenomenali tette e culi che passano sullo schermo?

Resiste, non vuole spendere soldi per vedere ciò che non può più fare. Un accenno di rabbia mi cresce dentro.

- Ma io davvero conosco quest'uomo? Davvero è qualcuno che ho stimato, per cui provo affetto? Come ha potuto ridursi cosi? Vigliacco, rassegnato, accartocciato in se stesso… cosa ho da spartire con questa persona piccolina e miope? - Pago il biglietto anche per lui.

Con la modernità il tempio dello spettacolo si è avvilito in un postribolo per occhi, il primo degli organi sessuali. Sempre chiacchierando di cavalli la maschera strappa i biglietti, varchiamo tendone rosse a cui solo Vinicio può avere il coraggio di strusciarsi. L'inquadratura di labbra mal lavate scorre per una sala di sedioline buie che non hanno più nulla da raccontare; ne scegliamo due defilate: ci siamo persi "La vacca di campagna" con Dolly Giusy.

L'occhio annacquato di Vinicio segue le scene finali del film facendo le lastre allo schermo col suo sguardo spermatozoico. La scena non contribuisce a creare buonumore in Alain che un po' ci sperava. Si alzano le luci e la simpatica platea di vecchi incassati in cappotti sordidi militari e checche accoglie il dinamico duo; una mitragliata di macchie di dentifricio staziona sulla fila di fronte. Non si capisce perché non dovrebbero essere su tutte.

Lo spettacolo successivo si intitola "Il succhio della vita": promette bene!

Nessuno nei nostri paraggi, non ci preoccupiamo di disturbare. Cerco di rompere il ghiaccio, cominciando con qualche commento sulle capacità artistiche degli "attori" del film. L'argomento non sembra fare presa. Allora gli chiedo come mai si è trovato in quella situazione da "mettiti a pecovina che mo' t'inculo sul metvò".

Lui divaga. Mi racconta che sta in una pensioncina e che è stato precettato da degli avvocati per conto della Venturi per conto del dottore O.O.O.O per conto del MOMM ma che non si rende bene conto di come abbiano potuto prendere un granchio del genere, di chi cazzo sia un MOMM, di cosa sia il Dottor O-O-O-O, di cosa voglia la Venturi o chi per essa e non gli interessa.

In compenso chi sia la biondina del metrò non lo sa. Ma gli interessa.

Mi avvicino un po' per chiedergli cosa ha trovato nel portafogli dell'armadio rasato, se ci sono indicazioni sulla tipa unghiuta, già tiro fuori un blocchetto: mi segno tutto e poi una visitina, prima di tutto alla troietta.

Mister Puzza mi risponde laconico: indirizzo qualche documento e dei soldi.

- Quelli li ho tenuti, il resto buttato via.-

Alain va su tutte le furie:

- Testa di cazzo! Hai buttato via indivizzi e documenti? Vuoi dive che non abbiamo nulla in mano?-

Manuel mormora che forse si recupera qualcosa sul terminator, ma quello proprio non vuole rivederlo.

- Allova  non ci vesta che seguive le tvacce dell’uomo. Aiutami a tvovavlo. Non c’e’ bisogno che lo incontvi tu. Ci penso io.-

EOF. Non abbiamo motivo di restare qui. Quando mi sbilancio per recuperare il cappotto sulla sedia di lato, Vinicio nota la pistola che ballonzola sotto l'ascella. Neanche avesse ricevuto una frustata, si alza di scatto e cerca di allontanarsi; tutto intabarrato com'è, i suoi movimenti sono lenti e goffi. Non mi ci vuole niente per raggiungerlo e afferrarlo per un braccio:

- Ehi, amico - gli dico con voce il più possibile tranquillizzante - Non ti spaventave. È gvazie a questa - e indico la pistola nascosta sotto la giacca - che ho potuto tivavti fuovi dalla mevda.-

- Anche se, - penso tra me e me, - mi sa che ci sei stato dentro in un bell'ammollo. -

- Es verdad - ci sei stato ammollo - prosegue con aria circospetta verso l'uscita. Ha l'aria di un cane che ha pisciato sul tappeto e aspetta che il padrone appena rientrato se ne accorga.

- Senti, dobbiamo parlave con più calma.- aggiungo.

- Occhei- annuisce il barbone, e slega il cane dall'androne. Solo adesso mi accorgo che la testa del pelusc è un cubo di denti grosso come il suo torace.

- Io devo capive chi sei e devo provave a divti chi sono io, così fovse viesco a chiavivlo anche a me.-

- Capisco, chiarissimo.- dice lui.

- Dov-vesti venive a casa mia - le orecchie di Vinicio si alzano e il cane sgrana gli occhi. O viceversa. Non pare molto felice dell'invito.

- Comunque, visto che hai infovmazioni e indivizzi intevessanti, io divei che dobbiamo cominciave a muovevci subito. Pev pvima cosa, io propovvei di andave dalla Ventuvi, sta in via Bevtoloni, no?-

- Devo uscire pure l'altro cane prima. E sbrigare una faccenda - accenna al collo - ci vediamo lì.-

- È avvivato il momento di metteve le cavte in tavola - proseguo - deve davci tutte le spiegazioni necessavie. Siamo nella stessa bavca, cavo mio. Dobbiamo favci dive chi è O.O.O.O., pevché noi siamo legati a lui, pevché se non lo aiutiamo ne va della nostva vita. E sopvattutto chi sono i NEMICI.-

- 'Nemici' è tutto il mondo - è quel che si legge nello sguardo spermatozoico.

Alain torna alla Rover dopo aver dato dei soldi a Manuel per prendere un taxi e raggiungerlo, dopo che avrà fatto uscire i cani.

- Fra un’oretta o due, che se il secondo non caga poi la fa in albergo e sono cazzi miei.-

 

Via Bertoloni in zona Parioli,  residenziale da ricchi quelli peggio, non i ricchi industriali ma la borghesia bene.

Con la mia evve mi tvovevei bene qui.

Ma adesso va male, non ci sono bar, solo un chioschetto dove si fa una birra. Manuel arriva senza particolare ritardo, il cane non si è fatto pregare e lui sembra tranquillo. Entrambi però stanno sulla difensiva, un po' ispidi. Lo stesso un mucchio di domande girano in testa.

Alain si guarda intorno per vedere se nota movimenti strani, la clinica è incassata tra le palazzine e si adocchia in fondo a un vicoletto.  Decide di annunciarsi con una telefonata prima di avvicinarsi.

Non serve avvicinarsi. Al telefono gli dicono che la 'Professoressa' è in Svizzera per un consulto. Torna tra tre giorni. Stvonza.

Vinicio bestemmia contro il freddo, ma non è grave come il gran caldo estivo, vera bestia nera dei senzacasa.

 

Il gorilla si chiama Quintilio Lucchi, abita sulla Casilina. Lascio Manuel, con l’accordo di rivederci fra un paio di giorni per far visita alla Venturi, quando sarà tornata.

Arrivo sulla Casilina verso le cinque, compreso il parcheggio in una zona di stradine, due passi e la prima ricognizione: la casa è una casermotta, un mezzo fortino sicuro abusivo; dà sulla strada e la strada sulla ferrovia. Non mi posso appostare davanti ma passo avanti e indietro un paio di volte. Casa e bottega. Nel cortile un’officina meccanica, gente che lavora a ritmo romano. Un paio di panzoni capi e due tre garzoni belli nerboruti. Macchine comuni, utilitarie scassate. Al piano di sopra, di lato, dietro - insomma non si capisce bene architettonicamente - ci abitano. Per entrare di notte ci vorrebbe l'uomo ragno.

Si affaccia una tipo 'Sora Lella':

- A Pri'! Sali 'mpo' che questo s'e' rimesso a fa' 'r matto!-

Quello più grosso si arrampica per le scalette con ringhiera in ferro bestemmiando in romanaccio. Due nomi sulla buca delle lettere. Azienda e casa bi-familiare. Di Quintilio nessuna traccia.

Alle sette e mezza chiudono un gran cancello in ferro dopo che i garzoni se ne sono andati pinnando sui motorini. Alle otto ai piani superiori si sono messi a cenare, nell'orbita di una finestrella vedo il lampeggiare bluastro della famelica macchina mangiacervelli.

- Quintiiiiiii'!!! Vieni a cena?????-

Sono soddisfatto.

- A casa. -

Andando a riprendere la macchina incrocio diversi stranieri.

 

Silvie mi accoglie con un sorriso sereno, tutto sta diventando normalità, come non fossi mai stato via. Dice che ha messo sotto carica il mio vecchio telefonino. In questi anni lo ha usato lei. Dovrò studiare con calma l'agendina e interrogare Silvie su chi sia quella gente.

Poi mi dice anche che ho un appuntamento con Zoppi, domani pomeriggio...

- Accidenti, tra una cosa e l'altra potrò tenere d'occhio Quintilio ben poco se alle tre devo stare a via della Giuliana... -

Non faccio trasparire il disappunto: la vecchia ha ottenuto per me un appuntamento da uno che mi ha visto chiudere dentro la bara!

E Pina mi ha fatto un vitello al porto da far resuscitare i morti... ops!

Il dopocena scorre tranquillo. Con una bottiglia di bourbon a portata di mano, comincio ad esaminare attentamente i numeri del cellulare e li confronto con l'agenda. Devo ricostruire i percorsi della mia vita passata, forse posso ricostruire i rapporti con quelli che non sanno che sono morto. Gente dello spettacolo, che magari ti dice 'mi avevano detto che eri morto, sai? Me la fai un'intervista che ti faccio entrare gratis al Gilda?'

Riesco ad individuare nomi del mondo dello spettacolo e dello sport. Ma questi, per ora, non mi interessano granché. Sottolineo, invece, tale Placido Michelotti, impiegato della Motorizzazione. Questo potrebbe essermi utile per le targhe. E Antonio Ponzo, investigatore privato. Da approfondire. Ora è importante sapere quanti, e con quanti particolari, hanno saputo della mia morte. Suppongo che gli amici, i parenti, i compagni di lavoro, le mie amanti, insomma, tutti quelli che mi erano più vicini, abbiano versato qualche lacrima sulla mia tomba e di tanto in tanto continuino a pregare per la mia anima. Ma i conoscenti occasionali, quelli da cui mi servivo, quelli a cui nessuno ha mandato notizia della mia morte, probabilmente hanno semplicemente pensato che io mi sia trasferito da qualche altra parte nel mondo. Con loro non dovrei avere difficoltà a riallacciare i contatti.

Chiamo ad alta voce maman e lei lascia il suo programma preferito per accorrere accanto a me:

- Senti, cava mia - esordisco, indicando l'elenco che sto compilando - mi devi dive quante di queste pevsone sono a conoscenza di quello che mi è successo. Da chi non posso favmi vedeve senza pvovocave una scena da 'I vacconti di Zio Tibia'?-

Apprendo che ho due altri cari amici, entrambi medici. Uno ortopedico e l'altro psichiatra,  quest'ultimo ha in cura Silvie come medico di famiglia. Lui potrebbe accettare di riavermi davanti, l'altro chiamerebbe la polizia. Si chiama Massimiliano Giannelli. Eravamo compagni di liceo al San Gabriele. Ha casa e studio molto vicini sulla Cassia, la Cassia serpente ora notturno.

 

Al mattino me la prendo comoda e riesco ad arrivare a via della Giuliana alle tre, puntuale come il Big Ben, un po' incazzato.

- Sarà che per il nervoso ho deciso di non bere e adesso sono in calo di metaboliti etilici?-

Un giorno, a Mosca, questo Luca Zoppi discusse del mio destino di Lazar Jakovic ingozzandosi di tartine al caviale; minacce e strilli di Demetra gli canguravano proprio. Maman mi ha spiegato che è un avvocato furbo; non patrocina, dà consulenze.

All'inizio di via della Giuliana, quasi a Piazzale Clodio, l'appuntamento è da un notaio che ha messo la tana di lusso in una villetta incassata tra i palazzi; c'è un piccolo giardino con degli alberi di loto e degli oleandri. Sono un po' emozionato, mentre suono il citofono del cancello. Mi aprono, dopo avermi lasciato alcuni istanti davanti alla telecamera intelaiata nell'ottone lucidissssimo, ma mi chiedono di aspettare giù. Aspetto fumandomi una camel, ho scoperto che sono più gradite al palato di Alain. Dopo un paio di minuti una ragazza mi invita a salire con la stessa voce che mi ha parlato al citofono; avevo solo detto 'Ho un appuntamento.'  Salgo le strette scale - doveva essere una bifamiliare negli anni '40 - e lascio la giacca alla segretaria, in cambio ricevo l'invito a entrare in uno studio di quelli che si danno a ore. Tutto lucido. Il legno dei mobili, il cuoio delle poltrone, la cera del pavimento riflette il sole che entra dalla finestra. Forse è intenzionale, devo strizzare gli occhi per mettere a fuoco la figura corpulenta che si allunga dietro la sedia, inquieta. Prendo l'iniziativa, mi metto a braccia conserte in mezzo alla stanza:

- Allova... è questa la cazzo d'amicizia? Non mi offvi niente da beve?-

La massa dell'avvocato si svincola dietro il tavolone in noce dicendo:

-Stavo pvopvio pev pvendeve i bicchievi, adesso che ho visto che sei tu... anche se non dov-vesti beve, n-e-l-l-e t-u-e c-o-n-d-z-i-o-ni...-

Corrisponde alla descrizione che ne fece Demetra, un centinaio di chili che si muovono con disinvoltura, dalla testa enorme, e una chioma da putto cresciuto. Mi volge la schiena possente, fa un rumore di vetro mentre si procura il drink e continua:

- ... Sono stato al funevale di Alain Meltemi, il ventisei mavzo millenovecentonovantasei.-

Si alza e si volta. Vedo che non è molto meno massiccio del tizio che ho ammanettato in metro, ma non c'è minaccia nei suoi occhi. Sui baffi ha un'espressione di risoluzione davanti all'inaccettabile:

- Tu sei stato cvemato. Io ti ho vegliato nel letto dello Spallanzani.-

Fa una pausa. Forse la mano gli trema un minimo mentre mi porge il bicchiere. Se fosse vero potrei dire di essere il primo a vedere tremare l'avvocato Luca Zoppi, forse mi sbaglio. Vino di Oporto. Mi fissa con gli occhi castani e brinda col mio bicchiere:

- Bentovnato.-

Il suo lo scola in un colpo, non è un bevitore. Torna dietro la scrivania:

- Siediti.-

Con le mani unite sul tavolo continua, confessa:

- Quando la vecchia mi ha chiamato all'inizio mi sono detto che doveva esseve uscita di cev-vello, mi dicevo 'Stvano, aveva supevato bene la cosa...'-

Mi guarda.

- La tua movte, stvonzo. Adesso ti vedo davanti a me, lo so che non è un sogno. Avevo pensato a qualche impovstove, uno sbaglio, che so. Ma adesso che ti vedo e sento la tua voce... Lo so che sei tu. Lo so e basta.  Non ho bisogno di pvove. Che è successo, Alain? Dove sei stato? Che facciamo adesso? C'entva qualcosa MOMM?-

- Belle domande, amico. Ma io sono qui pev aveve delle visposte. Sicuvamente in tutto questo c'è lo zampino, anzi lo zampone, di MOMM. È qualcosa che ha combinato lui! Movto, sono movto, su questo non ci piove. Pevò sono qui. E anche su questo non ci piove. Deve tvattavsi di qualche stvano espevimento di clonazione, vigenevazione col DNA, qualche diavolevia di quel geneve. Solo il nostvo comune amico può avev scovato gli scienziati pazzi che viescono a fave queste cose. Ma il pvoblema adesso è: che cazzo faccio? Pevché lui non si fa vivo? Spevavo che tu avessi sue notizie.-

- Che cambia il sapere come sono tornato? Io sono io, sono tornato. La pensa proprio così, siamo persone pratiche. Siamo?-

Mi parla giochicchiando con una penna sociale della Lazio:

- Non ho notizie di MOMM. Certo è la pvima volta che non si fa sentive così a lungo - non che mi pveoccupi - poi novmalmente pvego che lui non mi cevchi... le mie pveghieve savanno state  esaudite? Stavà a scviveve  qualche poesia nel Kazakistan...-

Mi dice anche che non lo sente da luglio, ma lo ha citato perché da un paio di anni stanno in mezzo ad affari redditizi, molto redditizi, ma caratterizzati da manovre assai strane, da spionaggio. Lui può spiegare la mia riapparizione solo all'interno dei traffici del sullodato. È un fatto che io, ufficialmente, sono ancora morto. Peggio, lo sono stato davvero.

 L’avvocato sorride. Si apre una familiarità di battute e discussioni. Mi sento a mio agio mentre passa il tempo. Il mio corpo è abituato a chiacchierare con Zoppi quanto alle sigarette e all'alcol... Tutte le domande e richieste che avevo preparato e schierato nervose si siedono a bivaccare mentre ci facciamo dell'altro vino di Oporto.

Verso le sette ci lasciamo con una stretta di mano. Lui ha una partita di calcetto. Mi promette che quando avrò deciso come rimettermi in pista lo potrò trovare al 'solito' numero per le 'solite' richieste. Certo non sarà facile rimettersi a lavorare per uno che è ufficialmente morto. Ci avviciniamo alla questione che ai miei funerali c'era poca gente,  ma tutte le persone care e i colleghi mi hanno visto serrare col trapano in una bara di abete bianco. Lasciamo perdere: forse non mi sento più così pronto a sapere della mia morte. Voglio sapere della mia vita.

Parleremo poi di tutto. lo inviterò a cena. Mi assicura che mi farà sapere in pochi giorni di questo Professore Orazio Olindo Olimpo Ognuno. Parliamo un po’ di calcio, mi chiede delle vecchie. C'erano troppe cose di cui parlare. 

 

PATHOS © 2001
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