CRONACHE DAL PICCOLO NULLA
di
Eterodossi


Capitolo 5 - Alain ter

Quando apro casa vengo bastonato dagli odori della cena. Mi lecco i baffi che non ho e attacco vorace il piatto di penne all'arrabbiata. Poi, ecco il secondo: bistecca alla fiorentina. Guardo le due vecchie leggermente sorpreso e interrogativo.

Maman e Pina, dopo un primo momento di imbarazzo, cominciano a parlare in coro.

Poi è la erre moscia di Silvie a prevalere:

- Alain, tesovo, è il tuo piatto pvefevito. Pina ha voluto pvepavavtelo pevché potvebbe esseve una delle ultime volte che si può fave. Poi savà messo al bando. Ma non ti pveoccupave, mangia tvanquillo. L'ho compvata dal nostvo macellaio di fiducia, è cavne gavantita, allevamento toscano sicuvo.-

 

Le tranquillizzo con un sorriso e comincio a mangiare di gusto la bistecca succulenta e cotta a puntino.

- Mhmm, deliziosa. - Se anche fosse di mucca pazza doc, non mi priverei di questo piacere. E poi cosa dovrei temere? Il famigerato PRIONE? E cosa potrebbe farmi, stò coglione? Intrufolarsi nel mio cervello e lavorarci su? E cosa troverebbe, nel mio cervello? Cazzi suoi! Siamo in tanti là dentro. Lo facciamo a polpette. Questo pensiero mi fa venire da ridere. Al mio curriculum mancherebbe solo questo, prendermi il morbo del BSE.

Tra un boccone e l'altro, bofonchio:

- Pvopvio quello che ci voleva. Pvopvio buono. Complimenti Pina, sei sempve la migliove!-

La serata prosegue tranquilla.

Dopo cena mi spaparanzo sul divano, in salotto, dove maman e Pina stanno guardando la televisione. La bottiglia di vodka a portata di mano. Durante la pubblicità mi esce dalle labbra una domanda che stava lì da un po’ di tempo:

- Maman, come stiamo a soldi? Dovwò pensave a qualcosa pev guadagnavmi la vita?-

Pina sta su una poltrona a piangere,  non ci faccio caso. Tanto, al solito, piange sorridendo: - Ciccio, ciccio mio, è tornato e mangia le sue cose, ciccio, ciccio mio!-

Mamma la invita ad andare a prendere 'da bere’. Mentre la vecchietta è nella gvande cucina, mamma risponde con calma alla mia richiesta:

- Abbiamo venduto la casa, Alain...-

Ho un moto di stizza che mi sorprende, mi sono già affezionato a questo posto, forse - guidando la Rover, dalle parti dello Stadio Olimpico - devo aver sperato di portarci Neda...

- Cosa? A chi? E la mia pensione?-

- Mi spiace Alain, ma avevi lavovato per meno di due anni e l'ovdine dei giovnalisti si è vifiutato di aiutavci. Lo sai in che tempi viviamo. Ti confesso che ce la siamo vista bvutta, ma l'amicizia vuol dive qualcosa anche pev la gente della mia età. Non solo tu hai amici mevavigliosi. Hai pvesente Cavlo Debenedetti? Lo sai che ci ha sempve aiutato, eva amico di tuo padve. Ha compvato la casa, lasciando a me e a Pina l'usufvutto pevpetuo.

Abbiamo un bel gvuzzoletto in banca, ci basta. Cevto ova che sei tovnato dobbiamo tvovave una soluzione. Ho pensato: pevché non vipvendi a lavovave? Cevto non alla Fininvest, ne alla VAI, ma nelle televisioni pvivate, V-veelens. Insomma, sei bvavo nel tuo campo.

Hai visto il mateviale che ho vaccolto?-

- Cazzo! - penso senza darlo a vedere - Sono bravo nel mio campo! ERO. Non so nemmeno da che parte si comincia.-

Poi, rivolto a lei:

- Si, lo favei volentievi. Ma chi sono io adesso ufficialmente? Avwò bisogno di documenti, di un'identità... se fossi movto pev un incidente, si potvebbe sosteneve un evvove nel viconoscimento del cadaveve, ma... pev come sono movto, la vedo più difficile. Ne pavlevò con Luca. Lui sapvà consigliavmi.-

Dall'ennesimo armadio escono fuori diverse pile di videocassette. Maman ha ottenuto dai miei colleghi, la gente del TG5, tutti i miei servizi e standap. Ci sono anche i romanzi che ho scritto quando avevo vent'anni, diari, appunti, tutta la sudicia impronta che ho lasciato nella cultura di questo mondo.

Carta e nastro magnetico mi diranno chi sono, Alain!

E il MIO corpo, c'é da qualche parte? Seppellito nella terra? Nelle mani di Mitridakin, per i suoi esperimenti? Avrà attuato il suo piano, quello di staccare il cervello dal corpo?

Quando a notte fonda Silvie passa a vedere se mi serve nulla (dolce e premurosa, in quella sua camicia da notte a fiori sbiaditi che le si è fatta troppo grande), le dico che vorrei invitare a cena Luca Zoppi, uno di questi giorni e che al più presto, magari domani in mattinata vorrei andare a trovare l'altro mio amico, il dottor Giannelli. Lo studio è qui vicino, sulla Cassia.

- Luca potvemmo invitavlo per domani seva.- dice subito mamma

- Ottima idea, l'ho sempve detto che sono un vulcano di genio. Dovwesti pagave pev esseve la madve di un figlio come me...-

Questa battuta mi esce spontanea; devo averla letta in qualcuno dei miei racconti, magari in quello ambientato all'Orso Elettrico.

Esaminando videocassette e scritti, in breve mi convinco che produrre di quella roba non deve essere difficile. Un paio di libri che scorro quando fuori ormai albeggia mi danno qualche dritta tennnica. Tutto il lavoro tecnico lo fa l'operatore e, quando c'é, il fonico. Il giornalista è quello che inventa la situazione e fa fare quello che vuole alla persona intervistata. É anche qui un campo del rapporto empathico, psicologia, personalità, 'saperci fare’.

 

La mattina dopo non ho problemi a convincere maman ad accompagnarmi dal 'nostro’ medico. Esco bello chiuso in sciarpa e berretto per incrociare il portiere che però - mamma pure lo ha definito così - è un vecchio rincoglionito e non fa caso a niente.

Un po’ come l'ETERNO DESTINO.

Il tragitto è breve, sarebbe ridicolo andarci in macchina se 'mia’ madre, come ho letto nei 'miei’ racconti, non fosse un relitto tenuto in piedi da una vitalità titanica. Tubercolosi e due tumori, un marito suicida e uno pazzo, per tacere del figlio!

Mi piace quest'ironia, nell'inverno romano tutto mi sembra familiare, la rampa dello studio del mio amico medico è come le scale della nostra casa a Novi Sad. Io sono di Novi Sad. Io ho una sorella perduta al mondo.

Mentre parcheggio la Rover, mi passano veloci in mente immagini che non riesco a mettere bene a fuoco.

Massimiliano, il mio amico medico, che con il volto scuro e teso mi sbatte in faccia i risultati delle analisi:

- POSITIVO!!! Capito, stronzo? Cosa hai combinato. Possibile che uno colto e intelligente come te ci sia cascato come l'ultimo dei ragazzotti analfabeti dei barrios? Ma che cazzo ti dice, quella testa di merda? E adesso? Lo sai cosa ti aspetta?-

Massimiliano, il mio amico, che sta accanto al mio letto di ospedale. Stringe le mie mani magre e tremanti fra le sue, calde e forti:

- Te ne stai andando, Alain. Ho fatto l'impossibile, ma non è stato abbastanza.-

Starei per scendere dalla macchina che m'imbatto nel mio amico medico.

 

Avevo il finestrino aperto come al solito, per non asfissiare la mamma dal ridotto volume polmonare, e posso vedere il medico in giacca e cravatta arrivare con un sorriso smagliante, da scimpanzé. Il mio 'amico’ ha dei labbroni mauritani e i capelli rossicci, sta aprendo la portiera a Silvie quasi di corsa quando mi vede al volante e comincio a sospettare.

Stava dicendo:

- Buongiorno, signora, è un piacere...- e qualcos’altro che invece è passato in:

- Ala...- il sorriso gli casca, la vocale i del mio nome gli si dissolve in un gorgoglio. Gli occhi si rovesciano.

- Porca miseria! Non pensavo ad un incontro ravvicinato di QUESTO tipo! - Volevo prima far salire da lui Silvie, perché gli spiegasse, lo preparasse.

Ma ormai è andata così e ho la certezza che cercarlo sia stato prematuro.

Ulteriore conferma mi viene dall'afflosciarsi del corpo minuto che sparisce fuori della macchina. Resto in macchina mentre Silvie aspetta l'ambulanza da Villa San Pietro. Massimiliano viene assistito da un altro collega dello studio. Grave stato di shock.

Torniamo a casa, mamma in silenzio, io mastico maledizioni: evidente i miei 'amici’ non sono tutti della stessa pasta.

 

Passo il pomeriggio a rimuginare su questa situazione: ho molte domande per Luca Zoppi.

Mi scarico con il solito videogioco, andando al terzo livello di DOOM, e leggendomi i fumetti che avevo nella collezione, passo due ore con Capitan America.

Capitan America, accidenti! L'eroe più americano di tutti, disegnato peggio dei manualetti di educazione stradale per i bambini del terzo anno. Eppure anche nel costumone a stelle e strisce, le vignette piene della retorica della torta di mele, la chevy decappottabile e le ragazze col fioccone in testa che bevono coca-cola e mangiano amburgher, è sempre un eroe. La sua lotta col nazista Teschio Rosso per la libertà mi avvince lo stesso; il gioco dell'eroe fa impallidire qualsiasi ideologia.

 

L'arrivo di Zoppi mi sorprende - come passa il tempo, povca tVoia - chissenefvega, lo accolgo in pantofole:

- Che fai lì, stvonzo! Togliti la giacca e pvendiamoci una cosa: buvbon?-

- Ho povtato dello sciampagn... in effetti ti stavo guavdando, non posso pvopvio capive... Sei tu, sei tovnato. Il buvbon fammelo doppio.-

- Col cazzo, mi sevwi lucido. Devi aiutavmi...-

Passiamo un'ottima serata. Zoppi fa qualche domanda ma io rimango sul vago: sono qui, inutile indagare, no?

 

Mi spiega che secondo lui, se non mi caccio nei guai, la mia situazione non è un gran problema. È successo un fatto in questi anni di governo della sinistra - lo so che ti girano i coglioni, sei morto poco prima delle elezioni - ma non è che poco poco ti sei nascosto per non assistere a questo schifo? È una battuta. C'e del buono in questo scempio, anche maman alla fine è d'accordo, si chiama: autocertificazione.

Nessuno controlla, potrò richiedere il rinnovo della patente e dei documenti e nessuno si accorgerà.

Per il lavoro... mi dovrò orientare su qualcosa che non mi faccia incontrare ex-colleghi: bassifondi, lavoro notturno.

Dice di non credere che mi dispiaccia, non per nulla ho smesso l'università perché facevo il cassiere in un nait , dopo aver fatto nove esami a filosofia. Inoltre Zoppi mi ricorda che ci sono sempre quei lavoretti che un tempo facevo con lui. Nel senso che gli facevo dei favori, per pura amicizia. Adesso se non mi offendo (no che non mi offendo! ci mancherebbe! Se sapesse quello che ho fatto pochi mesi fa! Beh, non Alain, Lazar … ma che differenza c’è ora?) mi può pagare, se mi va di riprendere. Le solite cose, servizi sporchi per detective in difficoltà. Dovrebbe avere un lavoro al più presto. Per cominciare, se vado con lui domani a mettere delle firme a via della Giuliana, mi dà mezzo milione. Ci mettiamo d'accordo per le nove, poi ho da fare.

 

Giorno +4

 

Arrivo in orario a via della Giuliana. Salgo nello studio. C'è della gente, due signore e un uomo, ci sono dei convenevoli impersonali al massimo. Capisco che i tre sono fratelli. Firmo delle carte, poi faccio il simpatico, mi viene tutto bene, soprattutto la firma. Se ne vanno dopo aver depositato banconote da mezzo cubo in mano a Zoppi che me ne gira due, spiegando che adesso sono intestatario di un albergo e di due aziende agricole nel potentino. Non devo fare né temere nulla: sono un prestanome di lusso.

 

Alle nove e venti sono libero di andare sulla Casilina.

Prima però mi fermo al bar Rosati, o comesichiamadesso, per un grappino (caspita! fa freddo stamattina, anche se c’è il sole) e approfitto della sosta per chiamare Manuel. Già a quest’ora di mattina ci arrivano zaffate di hamburger e patatine dal Mec Donald.

 

Poi eccomi di nuovo nella splendida zona residenziale della magione di Quintilio. Parcheggio lontano dalla casa, da una posizione defilata nelle prime ore noto che alcune macchine vengono portate via altre arrivano, alcune vengono fatte ruotare per occupare i posti sul marciapiede, classica manovra da meccanico romano. Fino all'ora di pranzo non noto nulla, se non che tutti gli occupanti della casa hanno aspetto massiccio, due donnoni tipo 'sora Lella’ vanno e tornano dalla spesa con una Renault 5 tutta scassata.

 

Entro nel bar più vicino perché mi venuta fame e, tra un tramezzino e un bicchierozzo, cerco di attaccare discorso col barista. Sono qui tutti genuini tifosi laziali. Come il mio amico Zoppi. C'è pure la foto del barista con un giocatore e sotto la dedica e la firma di Veron. Grande giocatore. Anche se non sono un tifoso delle squadre romane, devo riconoscere che mi sento a mio agio fra questa gente simpatica, alla mano. Allora con la mia aria "simpatica" mi metto a chiacchierare di calcio. Quando si è stabilito un clima confidenziale, tra una cosa e l'altra chiedo informazioni sulla rimessa lì vicino. - I Lucchi? Ssò gggente der qqquartiere, a maghina je ‘a porteno tutti... certo so riparazzzioni artigggianali ma vanno, vanno... certo, se lei, mi scusi se mmme permettto, c'a 'na maghina strana, sctragnera... ma so bbbravi, bbbravi. So dddù famije, viveno tutt'assieme, ma l'officina mica è der fijo, nooooo, è der padre, de Secondo. Lavoreno tutt'assieme: Primo, Secondo, Terzo, Quintilio, Sesto... Certo... Quinti’ lavora lì da dopo 'a scola... È bravo, è bravo... se semo visti 'n par de vorte allo stadio, 'n ragazzetto [sic!] tranquilllo... c'ha pure 'na bella ragazzetta... ‘na bbbiondina arta, proprio carina... cò rispetto parlanno, s'intende...-

- Ho già una mia idea di chi sia la ragazzetta alta. -

 

All'inizio della sera dopo le cinque vedo una ventata di muscoli uscire di buon passo dall'officina. Tre dei figuri corpulenti trotterellano con le mani nei giubbotti, infagottati nelle sciarpe, nella mia direzione. Tipo una piccola mandria di torelli bipedi. Non mi scompongo, giro sui tacchi e comincio ad allontanarmi per evitare che mi raggiungano. Dopo cinquanta metri mi fermo ad accendere una sigaretta per buttare un'occhiata e vedo che sono scomparsi dalla Casilina, hanno girato alla prima a dx! Li seguo. Via de Agostini. Hanno un bel margine ma se non saltano in macchina non li perdo, con quelle schiene dondolanti come quarti di bue allo scarico. Per non dare nell'occhio con la mia fretta, mi fermo da due neri a chiedergli l'ora.

Via Fanfulla da Lodi, fin quasi alla Prenestina.

Invece attraversano di sbieco un po’ correndo e entrano in parrocchia. Mi apposto lì a fumare fuori dei locali parrocchiali di San Leone I.

Una mezz’oretta dopo esce correndo un ragazzino. Quando mi passa vicino, lascio cadere in terra un po’ di monete da cinquecento e mille lire. Il ragazzino si ferma, guarda con interesse le monete che rotolano, poi guarda me.

- Se ti va di faticave a vaccoglievle, te le puoi teneve. - gli dico indicando il malloppo – Non mi piace toccave le monete impolverate.-

E mentre lui, contento come una Pasqua (ma che c’avrà la Pasqua da essere contenta? Non l’ho mai capito) arraffa tutto l’arraffabile, gli chiedo:

- Dimmi, vagazzino, cosa si fa di bello in Pavvocchia?-

Senza interrompere il suo lavoro di recupero, il moccioso mi risponde che ci sono le prove del coro, che si fanno due volte alla settimana e che il parroco, don Giovanni Staccalacasa, ci tiene molto ed è molto esigente. Si, uno che corrisponde alla descrizione di Quintilio canta nel coro.

 

Alle 20:30 sto diventando nervoso: ho quasi finito le sigarette. Nessuna amichevole T in vista: quando sto valutando se abbandonare l'appostamento per cercare un tabacchi o restare a tossicchiare nel lato buio della strada, vedo oscurarsi l'entrata dei locali della chiesa. La luce tra gli stipiti è occlusa dallo scorrere di masse muscolari. Al passo e formazione con cui sono arrivati, i torelli se ne tornano a casa. Visto che marciano di buon passo senza guardarsi le spalle mi arrischio a appiccicarmi alle loro spalle da Atlante:

- A Quintì! Oggi hai cantato propio male. Nun se po’ annà avanti così. Dopodomani te devi 'mpegnà, domenica c'avemo quer matrimonio...-

- Sì, sì...-

- Guarda, Quintì, ke papà c'ha ragggione. Ma n'dò c'hai 'a testa? Hai fatto uscì dai gangheri pure don Gianni!-

- E lassateme n'pace...-

- Ma ggguarda un po’ ke staj affa' pé 'na donna...-

Quello che ho riconosciuto come il mio uomo accelera affondando le mani nelle saccocce. Accelerano tutti. Li lascio andare, si accorgerebbero del mio scalpiccio.

Si intrufolano nel fortino e li mollo. Torno a casa rimuginando dopo aver comprato le sigarette.

 

Giorno + 5

 

Mi metto in marcia verso le nove. Mentre sono sulla strada verso la Casilina, mi  telefona una gentile signorina per ricordarmi l'appuntamento alle undici per la 'consulenza sul contratto’. So che è Zoppi: maledicendolo – e sempre troppo poco - , giro la macchina e vado a farmi un grappino da Antonini.

 

Dopo una misura di tempo inutile a parte la strumentalità dello scorrere sto deglutendo la seconda metà di un'ottima tartina all'ostrica, che scivola sul palato titillato da un vinello frizzante e nel raggio di dieci centimetri la seguono sulla corteccia cerebrale i pensieri che valutano la freschezza del mollusco e la sensazione piacevole degli ormoni che scorrono nell'amigdala.

Poi sento una voce. Strano come sentiamo meglio le voci di chi ci parla, anche alle spalle:

- Ciao...-

Mi giro, ma non vedo bene chi mi parla. NO, non può essere la stupenda ragazza bionda, forse un po’ magra, dal viso acqua e sapone. Ma non vedo nessun altro che mi fissi come se fossi tornato dal regno dei morti.

- Alain... Come stai? da quanto tempo!-

Mi abbraccia e mi bacia sulle guancia. Ce l'ha proprio con me. Emmochidiavoloèquesta?

Mi sa che la dovrei conoscere bene. Comunque la pollastrella merita attenzione. Che mi costa stare al gioco?

- Ohohh … tesovo … che piaceve incontvavti! Cosa ci fai da queste pavti?- bofonchio, mentre poggio il piattino delle tartine e tracanno il vino - visto mai si scalda.

- Io... Io... sono così felice di vederti! Non sei cambiato per nulla da... da... saranno sei anni, forse di più, no...-

Fa una pausa, è proprio felice di vedermi e i ricordi che ha di me non possono che essere d'oro. La sorpresa e i ricordi la soperchiano, è evidente, non sa che dire. Cos'è la faccia tosta? Cos'è il savuarfer? Quello che mi fa parlare con la più grande naturalezza:

- Cava, cava, sei pvopvio sempre la stessa dolce fanciulla! Che ti offvo? Festeggiamo questo fovtunato incontvo. In fondo è come se ci conoscessimo di nuovo, no? Dopo tutto questo tempo…-

- Sono otto, otto anni. Che fai adesso? Vivi ancora con i tuoi? Oddio come vorrei restare, come vorrei che mi raccontassi tutto! Vedessi come è cresciuta Giulia, com'è diventata, se non ci fossi stato tu... Alain. Ecco il mio bigliettino. Chiamami. Chiamami, ti prego, non sparire di nuovo. Ti prego.-

- Giulia?

Dovrei conoscere anche questa Giulia che “è cresciuta”?

Una mocciosa? Andiamo bene.

Sarà mica mia figlia? Nooo, non me lo avrebbe detto così. -

Però, la creatura che mi sta parlando è proprio niente male. Una donna sulla trentina, direi, viso interessante, angelico, gambe slanciate, fondo schiena arrotondato al punto giusto, tette ben proporzionate. Insomma, da coltivare. Allungo la mano per prendere il suo biglietto da visita, mentre continuo a spogliarla con gli occhi.

Se ne va. Il mio sguardo l’accompagna fino all’uscita. È decisamente molto bella, e decisamente felice di avermi rivisto.

Provo una strana sensazione. I suoi occhi parlavano d'amore.

Il biglietto parla di Carlotta Pescocostanzo - consulente - Casting Media Europa s.r.l. - Piazza del fante 33. Questa sosta da Antonimi è stata una buona scelta.

 

Arrivo all'appuntamento con Luca rimuginando. Il viso di quella Carla mi dice qualcosa... La stanza presa a ore da Luca è da un altro notaio.

Entrata con telecamera e un segretario che sembra Hitman il pomeriggio prima di incontrare Hulk Hogan al Madison. Luca sta spillando alcune cartelline:

- Buongiovno... scusa se ti ho fatto venive a quest'ova, l'alba...-

Allude ai miei stravaganti orari di veglia.

- Ho le notizie sul tuo pvofessove. Ci tenevi e poi la cosa buona delle pevsone di cui si sa poco è che il poco avviva in fvetta!-

Mi butta una cartellina. Cioè, la cartellina con i fogli che stava cucendo. La sfoglio senza neanche sedermi o togliermi l'impermeabile.

- Ho fvetta, la leggevò strada facendo. Piuttosto senti, Luca. Sono passato da Antonini, per un cappuccino, sai… che c’è? Non mi guavdave con quella faccia! Dai!… Va bene, si chiama gva-ppi-no. È stato un lapsus, ok? Fa fveddo la mattina all’alba, mi dovevo cavbuvave …

Piuttosto, che mi sai dive di questa femmina?-

Gli butto il bigliettino di Carla. Zoppi lo prende delicatamente a due mani, ha dita leggere e unghie curate:

- Ma ti sei vincoglionito in questi anni? Questa è una delle stovie tue tipiche. L'hai conosciuta duvante il pvaticantato a Vete quattwo. Eva incinta, l'hai convinta a non abovtive, hai menato all'omo, al pvocesso ti ho difeso io...-

Mi sembra di ricordare. Una seria sensazione di piacere quando viene a galla il frammento di un’immagine, il mio sinistro che allunga un gieb doveroso.

E subito mi assale un’altra sensazione, bruciante, tragica, questa volta. Qualcosa che giaceva sepolto sotto la diga di mattoni che avevo faticosamente costruito.

L’ho convinta a non abortire. Ho salvato il figlio di un altro, che ora vive e “cresce”. Per il mio, invece, non ho potuto fare niente. Quel bambino, il mio, che non imparerà mai a camminare sul ponte di Novi Sad. Il sogno distrutto, l’amore tradito.

Il dolore è così forte che per un attimo mi manca il respiro.

Solo un attimo. Non posso permettermi di cedere, non ora.

- Che altvo?- incalzo, quasi rabbiosamente.

- Guavda che ci hai scvitto puve uno dei tuoi vacconti a viguavdo. La chiamavi 'Elisa’. Le è nata una figlia che ha chiamato Giulia. L'omo è andato a lavovave in Amevica. L'hai incontvata?-

- Sì, mi ha viconosciuto subito. Ma, dalla sua reazione è evidente che non sapeva della mia movte. Vovwei andave a pavlavci. Lo posso fave tranquillamente. L’omo s’è tolto dai coglioni pev sempre? Fammi sapeve qualcosa. Ciao.-

Me ne vado, sbattendo contro una sedia, che esita prima di rovesciarsi.

Zoppi saluta con voce rassegnata da cui trapela un 'è-rimasto-lo-stesso-stronzo’:

- Ciao. Chiamami domani, pevò!-

 

Mi studio la cartellina ai semafori: Orazio Olindo Olimpo Ognuno. Nato a Berna il 1 febbraio 1921, cittadino svizzero. Adottato. Laurea in medicina e in chimica. Università Cattolica. Consulente società chimiche. Membro società archeologica bielorussa.’

- Uff... me lo devo leggere con calma...-

Ora l'obiettivo è la Casilina, il "regno" di Quintilio.

Dopo una rapida occhiata mi rendo conto che il tran-tran-namento è sempre lo stesso; questa volta ho identificato bene il mio uomo e passando davanti una prima volta a piedi, dopo un paio di passaggi in macchina, sento gli strilli romaneschi dell'ultima lite. Un martello viene sbattuto a terra da un'orrenda bestemmia, tanto che le donne scendono chiedendo un po’ di controllo:

- Ahò, makessò 'ste parole? Bbbasta, e kke sssarà mmmai?-

- 'Sto cojone lavora a mmmembro dé segugggio! M’a spakkato 'n karburatore, mo ki 'o sente 'j'ingegnere?-

- Ma mika 'o fatt'apposta...-

La voce paterna, nel cortile gladiatorio, si sta già chetando, la matronica mamma dalla balconata concede il suo missus:

- Quintì, vatte a fa 'na passsagggiata, da’, belllo, so gggiorni che non te faj unn giro..-

- Siii, nun te preoccupà, Quintì, scusa eh'?, daje, 'un fa 'r cretino, te devi rilassà, alla maghina ce pensamo noi... Sei ancora teso... daje, se vedemo acccena...-

Il silenzio che segue è di ovatta. Brevissimo ma sufficiente a farmi capire che l’ETERNO DESTINO si sta vendicando: una serie di scatti metallici  offendono e mi strappano una maledizione. Prima che possa improvvisare, Quintilio schizza fuori su un motorino tutto scassato. Fa attenzione alla strada e non mi nota, in pochi istanti è lontano. Mi segno solo la targhetta: prima che Alain arrivi alla macchina sarà già nel Guatemala centrale, difficile tenere sotto controllo qualcuno da soli...

Scarto la possibilità di entrare a fare il simpatico e piuttosto vado in parrocchia. Il parroco non c'è, ma parlo con un altro prete. Gli conto che sto facendo un articolo sulle attività culturali nei quartieri romani e che mi hanno parlato molto bene del coro della parrocchia.... Blandisco, sottolineo l'opera meritoria della chiesa per togliere i giovani dalla strada.

Il prete non ha informazioni precise sul coro, si occupa del catechismo ma la ragazza di Quintilio l'ha notata pure lui! Un piacere a guardarsi. Da come gli brillano gli occhi capisco che si tratta della pupa unghiuta della metropolitana. Lui non ne sa neanche il nome, solo che viene da un'altra parrocchia a cantare qui. L'idea che Quintilio sia solo una pedina si rafforza.

Il prete mi chiede di lasciargli nome e recapito per farmi parlare col parroco. Dico di chiamarmi Eros Marchetti e che richiamerò io, perché ora sto per andare fuori Roma.

 

Passo da casa, per non rinunciare al pranzo di Pina. Chiedo a mamma se ha notizie di Giannetti. Lei mi dice che Massimiliano è ancora in condizioni critiche; shock e delirio vengono curati a forza di pasticchette nella nostra modernissima società.

Ho appena il tempo per un ammazzacaffè e devo rimettermi in pista.

 

Chiamo la pensione di Manuel. Lui non c'è. Ma questo è normale. Un barbone non può fare altro che andare in giro. Mi dovrei preoccupare? Mah, penso di no, per ora. In fondo ha svolto il compito che gli era stato affidato. Forse ora se ne può andare tranquillo per la sua strada, che probabilmente non si incrocerà più con la mia. Anche io ho fatto quello che mi era stato chiesto. Forse non avrò più nulla a che fare con i vari Venturi e quattro O. Così potrò cominciare ad occuparmi di me stesso, capire chi sono. Però mi è chiaro che solo loro possono darmi delle risposte.

Telefono alla clinica, e mi dicono che la Venturi non si è ancora fatta sentire. Dovrebbe essere in Italia, ma ha cancellato l'ambulatorio per questa settimana.

- Che vadano tutti a favsi fotteve!- mormoro mentre sto per salire in macchina. E mi accorgo che c'è una bella notifica di "mancato pagamento del parcheggio".

- Ma povca puttana!- ripeto più volte mentre faccio manovra e mi avvio sulla strada di casa. Continuerò a ripeterlo quando mi troverò incolonnato nel maledetto traffico della Cassia alle sei di pomeriggio.

Per alleggerire la serata, propongo a mamma e Pina di andare al cinema, al Delle Mimose, dove fanno "Ti presento i miei", con De Niro. Loro sono felicissime di venire, e così scopro che anche "prima", quando ero vivo, pur essendo un occupatissimo giornalista di 30 anni, le portavo fuori almeno una volta al mese.

 

Nelle comode poltrone del cinema mi lascio andare al divertimento. Con la coda dell'occhio vedo Silvie e Pina che ridono, sbirciando le mie risate. Ridono perché io rido, sono piene di vita perché io vivo.

E all'improvviso mi aggredisce dolorosamente il ricordo di un altro cinema, in un'altra vita: sullo schermo scorrevano le immagini di "Asteriks i Obeliks protiv Cezara", e io mi ero rintanato nel cinema di Uzice, durante la mia fuga verso il Monastero di Mileseva, non sapendo se la mia libertà e la mia vita sarebbero durate ancora per un giorno. Ero stremato, in quel momento, ma ero disposto a lottare per ogni minuto di vita in più: stavo per incontrare lei, Isabela, e tutto quello che facevo aveva un senso. Di lì a poco le avrei scritto l'ultima e-mail prima che i nostri corpi si stringessero finalmente in un abbraccio reale. Le avrei scritto... il mio amore per te è così grande che ha invaso totalmente il mio essere... Lazar non potrà più esistere senza di te. E ora ...

 

- Alain! Tesovo ... dobbiamo andave. Il film è finito, ci chiudono dentvo!-

É la voce di mia madre che mi strappa dal tunnel dei ricordi.

Mi scuoto e sorrido, aiuto maman e Pina a infilarsi il cappotto.

- Grazie, ciccio mio - dice Pina, con la bocca ancora a forma di risata, - era tanto che non passavamo una serata così. Da quando tu sei... tu sei...-

- Non impovta- la interrompe mia madre, ma sempre col sorriso sulle labbra, - Ora il nostro vagazzo è con noi. E solo questo conta!-

Il ritorno a casa è un normale ritorno di famigliola felice.

 

Prima di andare a dormire il sonno dei giusti, leggo ancora il dossier su O.O.O.O. che mi ha dato Zoppi.

Se ne sa veramente poco. Le cose salienti sono che è svizzero e che è stato sia negli USA che in Germania durante la guerra. è stato adottato a sei anni dal membro senza figli di una famiglia di ricchi banchieri svizzeri, ha studiato all'università di Zurigo. Ha fatto molti viaggi.

Pubblicazioni molto frequenti ma poco circolate, sempre in riviste minori.

Libri a tiratura ridotta: è un medico con interessi nella chimica e nella Fisica.

Basso profilo, molti misteri.

 

Poi accatto una delle mie raccolte di racconti per trovare i tre paragrafi in cui parlo di Carla. Ha ragione Luca: l'ho chiamata Elisa. L'ho conosciuta su un set, già faceva del casting, era molto abile e brava, ci sono uscito, mi sarei innamorato se fossi stato uno che faceva quelle cose e non fossi stato troppo impegnato a vivere come se fossi il personaggio di un romanzo. Tanto più mi era chiaro che ci potevo stare bene e tanto più ho voluto essere superiore 'a queste cose'. Tutto è successo in fretta, era incinta e disperata; avrei voluto farmi avanti invece:

- A me la covazza splendente e il cavallo bbbianco!-

Ho usato tutto il meglio delle mie capacità per farle fare la cosa giusta, tenere il figlio e scaricare lo stVonzo con cui stava.

Il quale - capitolo due - provò a forzarle la mano, c'ero io, gli ho menato: grande grosso e coglione.

Mi ha portato in tribunale ma Zoppi ha arruolato tre testimoni che hanno visto che lui aveva alzato le mani per primo: per Zoppi è rutin.

Ammazzato il drago, il paladino col cavallo bianco è partito per altre avventure.

Mi sono fatto vedere sempre meno, non ho fatto mancare telefonate e biglietti. Poi ho scoperto quello che sapevo e che mi ero cercato col lanternino; i paladini non si beccano l'AIDS e invece avevo quello come avevo avuto piattole, scolo e compagnia sozza.

Sono sparito con convincenti scuse e mi sono incamminato con un rimpianto in più: mi piacciono i rimpianti, meglio fare il masochista che dirsi 'io posso cambiare’. Allo Spallanzani 'Carla’ è stata una delle ultime parole che Zoppi ha sentito dalle mie labbra spaccate.

Ci vogliono i coglioni quadrati a girarsi indietro a guardare nella vita. Io l’ho fatto: sembra una storia raccontata da tre idioti senza nome, piena di strepito e di furore, e senza alcun significato. Non lo è, ma sembra forte.

 

 

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